Articolo dell'unione sarda (31 luglio 2000):

ANTICHI MESTIERI

Il mago del ladiri
garantisce
una cottura perfetta

Angelo Lampis ce l’ha a morte coi forni prefabbricati. Non tirano, dice lui, costano troppo e la resa non è neanche paragonabile a quella che hanno gli omologhi in ladiri. La tecnica usata per la costruzione somiglia a quella dei nuraghi. Servono 350 o 400 mattoni crudi, dalla forma leggermente a cuneo; si comincia con un primo strato disposto a circolo, dal diametro variabile dal metro e venti (a seconda delle "teglie" di capienza), quindi sopra il primo si dispone un secondo circolo svasato all’interno e dal diametro più corto, e così via sinché si arriva a chiudere la cupola con un solo mattone piantato a forza. Infine, si ricopre la cappa con uno strato di fango e paglia. Il piano di cottura e di "arregioba sarda", di pianelle di argilla che Angelo Lampis compra a San Gavino. Ma l’eccezionalità di quest’impresa e il "ladiri", la terra che diventa materiale da costruzione. L’artigiano di Serrenti prepara l’impasto con l’acqua e la paglia, lo lascia a riposo per un giorno e quindi "du pesada" a piccole porzioni la terra passa nello stampo che le conferisce la tipica forma: un parallelepipedo a trapezio di una trentina di centimetri di lunghezza. "Sono troppo anziano, ormai, e le mie mani sono intaccate dall’artrite. In fondo, faccio questo lavoro da sessant’anni: mio padre m’insegnò il mestiere a otto anni". Il vecchio artigiano confessa di essere stanco, dopo una vita passata a fare il ladiri e soltanto il ladiri. Quest’anno ha avuto commesse per una decina di opere. Lui lascia che a correre sia la sua fama, di artista ormai più che di operaio. Sarebbe felice se qualche giovane volesse apprendere la sua tecnica "ma quelli non ne hanno voglia e chiedono troppi soldi".

A. E.

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